“Un caffé nero, come una notte buia senza luna” e riflessioni randomiche su mondi senza pietà che racchiudono in sé un cuore selvaggio: lettera aperta a David Lynch (1946-2025)
- Andrea Brena
- 24 gen
- Tempo di lettura: 4 min

Caro David,
La prima volta che ti ho incontrato è stato con “Lost Highways”. Dopo averlo visto ho capito che il cinema avrebbe sempre fatto parte della mia vita. Non ho potuto farne il mio lavoro, come da piani, ma, nella mia irrequietezza, è stata una certezza che non mi ha mai abbandonata. È sempre stato il mio amore e per questo devo dire grazie a te.
La cosa meravigliosa delle tue opere, di qualsiasi sorta si tratti, è la sfida che pongono a chi guarda. Un rebus per entrare nella tua testa e scomporre il corpus filmico e renderlo interpretabile.
Come gli amici di vecchia data, però, penso di aver capito che i tuoi film sono come viaggi: imprevedibili e liberi da vincoli di causa-effetto. Penso ti divertisse lavorare di libere associazioni e anche improvvisare, sul set, quando sentivi particolare feeling con gli attori.
Sono convinta ti facesse molto ridere quel comparto tecnico accademico di semiologi, psicologi, sociologi che dissezionano (e continueranno a farlo) ogni tuo film.
Credo amassi le luci intermittenti, odiassi la violenza ma ti divertisse spaesare i tuoi spettatori con figure terrificanti, penso che il caffé, le sigarette (ahimé), una buona fetta di torta, i colori ad olio, i post-it, le bionde ma molto più le more, l'umorismo scemo, quello di cui ridi con gli amici, ti facessero impazzire.
Penso che ti piacesse pensare di vedere una bella donna (come Isabella) da un buco della serratura, che la musica jazz ti facesse ballare da solo, che amassi le auto anni Cinquanta e che in qualche modo i distributori automatici nelle stazioni di servizio esercitassero qualche inspiegabile fascino su di te.
Non ti immagino come qualcuno che cerca l'imprevedibile, ma come un uomo che riesce semplicemente ad immaginarlo. A vedere il mondo e le persone, con le loro paure e i loro mondi nascosti come matrioske da scomporre e raccontare.
Che te ne sbattessi di Hollywood è chiaro, hai vinto Palme e Leoni, ma alla fine ti è toccato solo un Oscar alla carriera: penso tu ne abbia riso molto, mentre ringraziavi le facce interessanti del Kodak Theatre. E che la campagna per far candidare Laura Dern armato solo di un cartellone e una mucca, fosse troppo geniale per avere successo in quel mondo finto che è lo star system.
Probabilmente avresti attraversato tu l'America su un tagliaerba, come il protagonista di “Una Storia Vera” e ti sarai sdoppiato mille volte in un Dave fallito e un Dave di successo, come in “Mullholland Drive” o “Lost Highways”: nella tua fantasia hai ipotizzato le storie più assurde e incredibili per quei mille David e ne hai tratto dei film che hanno reso il cinema molto più “arte” di quanto lo fossero prima di te. Ma sono certa che il tuo punto non fosse quello.
Il tuo punto era portare le persone fuori da loro stesse in un mondo pauroso ma anche perfidamente divertente, dove tutti abbiamo amato spaventarci delle tue visioni, perche sono parte di noi.
La musica che sceglievi e componevi, divinamente, con Angelo Badalamenti, ci accompagna ancora nel nostro ricordarti. Per crollare a terra, come hai fatto tu lasciando questo mondo, mentre la melodia non cessa di cantare.
Potrei analizzare il tuo lavoro con una lente di ingrandimento, ma non credo sia stata questa la tua visione del cinema. Penso volessi travolgere, sovvertire, far sentire qualcosa di diverso ai tuoi spettatori. O a chi volesse sentire. Altrimenti, semplicemente sarebbe mancato l'equilibrio che tu a pelle cercavi nei tuoi film.
Quel fuoco che hai portato mille volte sullo schermo, ardeva senza voler distruggere: era passione, era amore per il tuo lavoro, i tuoi attori, la tua visione del mondo.
Con il tuo cinema ci hai raccontato il male e il bene assoluto, l'orrore nascosto tra le pieghe del quotidiano, l'aspetto ridicolo e infantile della violenza, un tempo al di fuori dalle coordinate cronologiche, il doppio che alberga in ognuno di noi e l'incubo, o il sogno, di ricomporre queste fratture forse insanabili.
Posso solo dirti che mi hai fatto piangere, mi ha terrorizzato a morte, mi hai fatto vivere momenti che sembravano il confine tra la veglia e il sogno, che mi ha fatto ammazzare dalle risate, che ci sono canzoni che non posso più ascoltare senza pensare a te, che mi hai mostrato il lato oscuro del perbenismo, che mi hai fatto rivalutare il cinema e il suo significato, che mi hai fatto scrivere una tesi che doveva parlare di pubblicità, perché hai fatto pure quella, ovviamente a modo tuo, che mi hai fatto capire che essere artisti non significa prendersi troppo sul serio, che quando vedo un mostro mi dovrei chiedere se quella spaventosa non sia io. Che semplicemente mi hai cambiato la vita.
So che il tuo lavoro non ci abbandonerà mai, ma avrei voluto solo sperare di vedere ancora qualche tuo viaggio nei tuoi magici e spaventosi mondi.
Posso solo versare qualche lacrima e ringraziare di aver incrociato il tuo cinema, la tua arte e ciò che hai lasciato come persona.
Mi piace immaginarti come Gordon Cole, che da qualche parte mi senti e capisci assi per fiaschi di tutto questo lungo discorso.
Grazie David. Ovunque tu sia, sconvolgerai anche quella dimensione.
Spero arrivi qualche eco, ancora anche qui.
Andrea Brena
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