SPECULARITÀ SEMANTICA E PSICOLOGICA NELLA FIABA: FOCUS SU “LA MORTE CORRE SUL FIUME”
- Ready To Rec
- 27 set 2024
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Cinema e fiaba possono essere elementi profondamente interconnessi. Il motivo? Molte fiabe sono state trasposte sul grande schermo nel corso degli anni, ma alcuni particolari film ne rispettano sia la struttura semantica, che le atmosfere con elementi fotografici e la costruzione dei personaggi, pur appartenendo a generi disparati.
Uno degli esempi più affascinanti è il film “La morte scorre sul fiume”, titolo originale “The night of the hunter”, thriller noir prodotto nel 1955, opera unica dell'attore Charles Laughton come regista. Questa pellicola non riscosse un grande successo di pubblico alla sua uscita, sancendo così la fine della carriera di Laughton dietro la macchina da presa, ma fu apprezzato da critici e colleghi, diventando un cult nel corso degli anni. Alla sua uscita, François Truffaut scrisse: “Una sceneggiatura come questa non è di quelle con cui si può inaugurare una carriera di regista hollywoodiano, e si può ben scommettere che questo film, realizzato nel completo disprezzo delle più elementari norme commerciali, sarà l'unica esperienza di Laughton: ed è un vero peccato”.
Ultima sceneggiatura di James Agee, tratta dal romanzo omonimo di Davis Grubb (ispirato ad un vero fatto di cronaca), fu rimaneggiata (pare) poi integralmente dallo stesso Laughton per restare più fedele al romanzo ed enfatizzare elementi biblici da inserire in una fiaba gotica: ad oggi la paternità dello script resta aperta, anche a causa del decesso di Agee prima dell'uscita del film.
La scelta di adottare un registro fiabesco rende il film particolarmente interessante, perché porta lo spettatore a sospendere la propria incredulità di fronte ad un racconto che, come nelle storie ascoltate nell'infanzia, ricalca quei processi cognitivi, immaginifici ed emotivi tramite cui il bambino indaga le proprie emozioni. In questo senso, sposta semanticamente i processi identificativi di chi guarda il film ad una dimensione quasi fanciullesca, sovrapponendo il suo punto di vista a quello del bambino protagonista, John, e ponendo in essere la condivisione emotiva di un arco narrativo che porta ad una traumatica fine dell'infanzia. Evoca nello spettatore il ricordo infantile dei mostri a cui sfuggire, dell'avventura, della paura del buio e dell'ignoto, riportandolo in quella lontana atmosfera, magica e terrificante nello stesso tempo.
La storia narra del seducente reverendo Harry Powell, serial killer di vedove a cui ruba il denaro prima di assassinarle, incontra in carcere Ben Harper, padre di famiglia, che durante la Grande Depressione ha commesso una rapina e nascosto il denaro (rivelandone l'ubicazione solo ai figli). Dopo l'esecuzione di Harper, Powell prende di mira la vedova, Willa, seducendola e sposandola per recuperare il malloppo. Quando intuisce che sono i due figli, John e Pearl, a conoscere il nascondiglio della refurtiva, il reverendo si sbarazza della moglie e si mette all'inseguimento dei due bambini. John, che ha nascosto il denaro nella bambola di pezza di Pearl, si trova a scappare in una barca lungo il fiume, braccato dal patrigno, fino a trovare rifugio da Rachel, una donna che accoglie orfani a casa propria e che si oppone all'assassino, fino al suo arresto.
Già da questa brevissima sinossi risulta evidente quanto Laughton si sia basato sul ritmo e gli stilemi della fiaba. Solo nel 1958 Vladimir Propp pubblicò in Europa la sua opera, “Morfologia della fiaba” (edita in Russia già nel 1928), in cui identifica delle costanti relative a tali racconti e identifica 31 funzioni, ossia azioni che si ripetono schematicamente in tutto il genere.
Analizzando il film è possibile riconoscerle quasi tutte all'interno della struttura narrativa.
L' Allontanamento (1), il Divieto (2) e l'Infrazione (3) si riferiscono chiaramente all'incarcerazione di Ben Harper, che nasconde il denaro rubato nel terreno e fa giurare ai figli di non rivelarne mai l'ubicazione, ma che, in carcere, rivela a Harry Powell (l' antagonista) l'esistenza di tale tesoro, mettendo in pericolo la famiglia. Le successive funzioni, Investigazione (4), Delazione (5), Tranello(6), Connivenza (7), sono rintracciabili in tutta la prima parte del film, in cui Powell avvicina Willa, la convince a confermare l'esistenza del bottino, intuendo che l'ubicazione sia tenuta nascosta dai due bambini, la seduce, riesce a sposarla diventando a tutti gli effetti patrigno di John e Pearl, a cui tenta di estorcere informazioni. Tutte queste funzioni preparano quella del Danneggiamento (8a), in questo caso l'omicidio di Willa e l'occultamento del cadavere, che lascia i figli in balia del solo serial killer, Mancanza (8b).
Di fatto le funzioni Mediazione (9), Inizio della reazione (10), Partenza (11), Prima funzione del donatore (12), Reazione dell'eroe (13), Fornitura del mezzo magico (14), Trasferimento nello spazio (15), Lotta (16), Vittoria (18), Inseguimento (21) sono tutte presenti pur non rispettando l'ordine postulato da Propp: ci viene presentato lo zio Billy, vecchio alcolizzato che sta riparando la barca del padre dei bambini (funzione di donatore, 9, e messa a punto della barca 12), si rivela il referente di John nel momento del bisogno. Dopo aver spostato il denaro nella bambola di Pearl (10), i bambini vengono perseguitati con sempre maggior violenza da Powell, che riesce a farsi rivelare dalla piccola il nascondiglio del denaro, ma John reagisce (16) riuscendo a scappare da casa (17) per recarsi dallo zio Bill, addormentato profondamente dopo una sbornia, da cui prende la barca paterna aggiustata, che funge da mezzo magico (14), sfuggendo per un soffio al reverendo (11) e lasciandosi trasportare dal fiume Ohio (15), mentre Powell insiste ad inseguire i bambini a cavallo.
In effetti, vi sono solo 3 funzioni tra quelle elencate da Propp che non possono essere applicate al film: Marchiatura (17) (i bambini non vengono marchiati o feriti in alcun modo, salvo essere lavati e ripuliti una volta trovato rifugio), Rimozione della mancanza (19) in quanto non vi è alcun ritorno delle figure genitoriali, Ritorno (20) (John e Pearl non tornano a casa). Si potrebbe trovare applicazioni metaforiche per ambedue le funzioni, pensando ad esempio ai traumi emotivi per la 17, o di una ritrovata casa (19-20) quando vengono presi sotto l'ala di Rachel, ma chi scrive ritene queste scelte possibili, ma ridondanti rispetto all'assetto narrativo legato alle funzioni. Lo stesso semiologo sosteneva che non tutte le funzioni dovessero essere necessariamente presenti nella struttura della fiaba.
Con la fuga dal fienile e il ritrovamento dei bambini da parte di Rachel, una donna che si occupa di un gruppo di orfani e tiene con sé anche John e Pearl, si compiono anche le funzioni di Salvataggio (22) e Arrivo in incognito (23). Powell riesce a rintracciare i bambini e cerca di portarli con sé spacciandosi per il padre, ma Rachel non si fa ingannare, si rende conto che i bambini si trovano in pericolo e affronta il predicatore per un'intera notte, armata di fucile, cantando all'unisono con l'assassino un canto di Chiesa. In queste sequenze possiamo rintracciare le funzioni di Pretese infondate (24), Compito difficile (25), Adempimento (26) e in particolare Identificazione (27): Rachel racconta ai ragazzi la storia biblica del ritrovamento di Mosé da parte della moglie del Faraone, che presenta analogie con il ritrovamento dei fratelli Harper (la persecuzione, la discesa lungo il fiume in un cesto/barca, l'accoglimento in una situazione famigliare amorevole), innescando così un legame con John, che si identifica nella parabola da un lato e permette a Rachel di comprendere a pieno la storia e il trauma vissuti dal ragazzino.
Infine, Powell viene riconosciuto come assassino di fronte alla gente del posto, Smascheramento (28), e John può finalmente lasciarsi andare ad un dirompente pianto, mentre lacera la bambola di Pearl, gettando al vento il denaro in essa nascosto, assolvendo alla funzione di Trasfigurazione (29).
Il reverendo verrà arrestato, John e Pearl resteranno con Rachel, concludendo così anche l'elenco di funzioni di Propp con Punizione (30) e Nozze (31), in questo caso metaforizzate con un lieto fine per l'odissea dei bambini.
Come è visibile da questa analisi, il film è riconducibile alla struttura e agli archetipi della fiaba, benché Propp sostenga che lo schema delle funzioni debba necessariamente mantenere un ordine causale tra l'una e l'altra, mentre nel caso di “La morte corre sul fiume” questo non avvenga sempre. Su questo punto, dobbiamo però considerare che la ritmica e l'intreccio di un'opera cinematografica non sempre può coincidere con quello del racconto scritto, proprio per intenzioni autoriali ed espressioni stilistiche. In merito a ciò, Mereghetti cita Tavernier e Courduson, scrivendo: “La logica narrativa del film avanza più per associazioni di idee che per rigorosa consequenzialità, «privilegia i concatenamenti metaforici piuttosto che la progressione drammatica, la rima piuttosto che il ritmo, le assonanze e gli accordi armonici piuttosto che il crescendo drammatico»”.
Basti ripensare alla sequenza della fuga notturna lungo il fiume, in cui dopo un grido animalesco di Powell, i bambini vengono trascinati dalla corrente, sulla barca, e Laughton inizia a mostrarci dettagli degli animali selvatici che popolano le rive del fiume, rumoreggianti, minacciosi e guardinghi, occhi che compaiono nel buio, sagome che si immergono nell'acqua e sembrano popolare una dimensione espressionista, più che realistica. L'incubo di ogni bambino, che vede mostri tutto intorno a sé, persino sotto al proprio letto. Altro esempio simile, ancor più estremizzato, può essere rintracciato nella sequenza animata di “Biancaneve e i sette nani” (Hand, 1937), prodotto da Walt Disney, in cui la protagonista in fuga nella foresta vede intorno a sé occhi minacciosi, tentacoli, mostri pronti ad agguantarla, per scoprire poi che si tratta solamente degli alberi e della fauna che popola il luogo. Altra associazione è quella che vede contrapporsi alla menzogna del reverendo Powell in merito ad una presunta fuga della moglie, l'inquadratura di Shelley Winters morta, seduta sulla propria automobile sul fondo del fiume, mentre i capelli sciolti ondeggiano mescolandosi alle alghe quasi si trattasse di un dipinto surrealista.
Nel film sono presenti archetipi, che assumono sia una valenza psicologica che narrativa: il protagonista è John, che da Giovane, poi Errante, si trasforma in Eroe, sacrificando la propria infanzia per salvare sé stesso e la sorella minore, portando a compimento, suo malgrado, una ricerca della compiutezza e dell'identità, che lo porteranno nel finale a scoprirsi adulto.
Dall'altro lato, troviamo Harry Powell nel ruolo di Ombra, Antagonista, Padre Orco, autorità malvagia, preda del proprio inconscio. Sembra sia impossibile sfuggirgli, onnipresente e irresistibile, terrificante Uomo Nero quando grida “I'll be back, when it's dark!”.
Aggressivo, misogino e dominatore, rappresenta anche l'archetipo del Mutaforma, in grado di celarsi dietro alla maschera di uomo di Chiesa.
Due assoluti che si contrastano, come le mani di Powell tatuate sulle nocche con le parole “LOVE” e “HATE”, durante la sequenza in cui il reverendo simula la lotta tra bene e male, stritolandosi le dita con una violenza sottocutanea inquietante.
Questo riferimento biblico, come altri di cui è costellato il racconto, rappresentano un nodo fondamentale per interpretare l'opera di Laughton.
Se Rachel Cooper, interpretata da Lilian Gish, la “fatina buona” dei film di D.W. Griffith, si rivela Mentore ed essa stessa Eroina nel contrapporsi a Powell (quest'ultimo rappresentato da un impressionante Robert Mitchum, bad boy di Hollywood per eccellenza), è interessante come nell'ultima notte le voci di entrambi si uniscano nel cantare l'inno “Lean on Jesus” (letteralmente “Appoggiarsi a Gesù”), che parla del potere fornito dalla fede, mostrando ancora una volta due facce della stessa medaglia: una religione oppressiva e ipocrita che si oppone ad una visione di Dio improntata sulla bontà e l'innocenza.
In questo senso, le scene in cui il reverendo si oppone al piccolo John, sembrano embrionali rispetto allo scontro tra il vescovo Vergérus e Alexander, il ragazzino protagonista di “Fanny e Alexander” (Bergman, 1982). Qui la visione cristiana espressa da Laughton si trasforma in repressività del dogma religioso che si scontra con un agnosticismo accompagnato da una propria personale spiritualità.
In “La morte scorre sul fiume” la maschera di reverendo garantisce a Harry Powell una credibilità che i bambini non paiono mai acquisire prima dell'incontro con la signora Cooper. Anzi, sono gli stessi membri della comunità a metterli in pericolo, abbagliati dalla rassicurante aura di cristianità e fascino emanata dall'assassino.
Tale dualità nel film si evince anche dal ruolo della bambola di pezza di Pearl: oggetto transizionale per eccellenza (ossia in cui si trasferisce, per il bambino, una funzionalità affettiva spesso causata dalla mancanza dei genitori), diventa feticcio (oggetto di desiderio) per Powell dal momento in cui scopre che si tratta anche del nascondiglio del denaro.
Non è un caso che nel finale, John distrugga la bambola, lanciando al vento il denaro, chiedendosi il perché di ciò che ha subito: una scena che simboleggia la fine dell'infanzia, ma anche la vacuità del desiderio di Powell, rispetto al trauma e alla perdita subita dall'Eroe, che qui raggiunge un punto d'arrivo nel proprio arco narrativo e psicologico.
Un film basato su segni pregni di significati, che sembra raccontare molto di più di ciò che si evince dalla trama in sé. Un tentativo di utilizzare l'espressionismo, il simbolismo e la metaforicità in modo seminale, se non avanguardieristico nella Hollywood degli anni Cinquanta.
Charles Laughton è riuscito a coniugare manierismo hollywoodiano, avanguardie, semiotica e psicologia, nel dar vita ad una splendida favola gotica, in cui demoni e angeli si scontrano in un mondo visto dagli occhi di un bambino.
Andrea Brena
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