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IL DIVO, LA VITTIMA E IL CRIMINALE: FOCUS SU TOM RIPLEY VISTO DA CLÉMENT, MINGHELLA E ZAILLAN



Nel 1955 uscì il romanzo “Il talento di Mister Ripley”, scritto da Patricia Highsmith, già autrice di un altro thriller psicologico, “Sconosciuti in treno”, trasposto da nientemeno che Alfred Hitchcock, ad un anno dalla pubblicazione, con il titolo “L'altro Uomo” (Hitchcock, 1951).

Biglietto da visita che rivela già la maestria della scrittrice nella costruzione di trame complesse e tensive, accomunate da profili psicologici complessi e ricchi di caratteristiche sottocutanee.

In particolar modo Ripley, amorale alter ego secondo alcuni della Highsmith, divenne protagonista di una saga letteraria, che diede origine a numerose trasposizioni cinematografiche nel corso degli anni.

 

Ci concentreremo solo sul primo romanzo, trasposto ben tre volte, con protagonisti e caratteristiche diversissime tra le versioni: “Delitto in pieno sole” (Clément, 1959), “Il talento di Mr. Ripley” (Minghella, 1999) e “Ripley” (Zaillan, 2024). Nei primi due casi si tratta di adattamenti cinematografici, mentre nel terzo di una miniserie televisiva prodotta da Netflix.

 

L'aspetto interessante del personaggio di Tom Ripley, truffatore, assassino, ladro di identità, risiede proprio nella sua ambiguità: tratto che, dal punto di vista interpretativo, può rivelarsi una tela bianca su cui l'attore può costruire una personalità più complessa, cangiante ma anche con peculiarità assai diverse tra un'interpretazione e l'altra. Una maschera costruita da Highsmith che può diventare chiunque e, in senso esteso, che chiunque può leggere in modo differente.

 

Il primo a confrontarsi con questo ruolo fu il compianto Alain Delon, nella versione di René Clément. Il regista, collaboratore di Jean Cocteau, parte del collettivo dei “Cahiers du Cinema”, neorealista da alcuni paragonato per visione e intenti a Roberto Rossellini, è sempre rimasto un maestro della regia francese poco nominato, nonostante due Oscar e un Leone d'Oro. Nella sua versione di “Il talento di Mr. Ripley” emerge uno stile scarno, un attenzione alle ambientazioni fatta da dettagli realistici, una visione dell'opera che porta il protagonista ad una cruda lucidità, eliminando di fatto tutte le implicazioni più ambigue del personaggio.

 

Infatti, uno degli elementi più interessanti che Highsmith trasferisce su Tom Ripley è un'omosessualità repressa e negata, di cui la stessa autrice è vittima nella vita reale. Infatti, il suo secondo romanzo del 1952, “Carol”, tratta proprio di una relazione tra due donne e, nonostante svariate difficoltà nella sua pubblicazione e la decisione di Patricia di firmarlo con uno pseudonimo (Claire Morgan) fino al 1989, divenne immediatamente un successo soprattutto tra i lettori queer, che per la prima volta lessero di una storia omosessuale tra donne con un lieto fine, in contrasto con le pubblicazioni pessimistiche e negative dell'epoca. Anche da questo romanzo viene tratto un film acclamato dalla critica, “Carol” (Hayes, 2015).

 

Quindi Alain Delon, sex symbol dell'epoca, con un allure tutto francese di raffinatezza e ricercatezza nelle sue interpretazioni precedenti, si trovò a dover dar vita al parvenu Tom Ripley, omosessuale represso, con il piano di rubare l'identità all'amico Filippo Greanleaf (non Dickie, come nel romanzo e nelle successive trasposizioni), fingendosi membro dell'alta società.

In questo scarno adattamento, che inizia in media res, non è Delon a trasformarsi in Ripley, ma viceversa è il personaggio a tramutarsi Alain.

Il divo pare vincere sul personaggio, che già dalle prime scene appare perfettamente integrato nel mondo di ricchezza e libertinismo di Greanleaf. La componente omosessuale scompare completamente, anzi il Tom Ripley di Delon si rivela un tombeaur des femmes, abilissimo nel conquistare donne ed in particolare, nel finale, Marge la fidanzata di Filippo.

 

Sia nella trasposizione di Minghella, che nella serie diretta da Zaillan, Tom approfitta di un'occasione per fingersi compagno di studi del ricco Richard “Dickie” Greanleaf e viene incaricato dal padre di quest'ultimo di recarsi in Italia, dove il figlio sperpera la propria rendita con la fidanzata Marge, tentando di affermarsi come artista dilettante (jazzista o pittore, a seconda della versione), per riportarlo in America. Sia il Ripley interpretato da Matt Damon (1999), che quello di Andrew Scott (2024), sono outsiders, non all'altezza dall'ambiente mondano frequentato da Dickie. In particolare, Damon sottolinea insicurezze e dolore nelle scene in cui viene apertamente deriso per il gusto poco raffinato, o per la mancanza di mezzi. Scott sceglie invece un approccio più freddo, in cui le emozioni di Ripley di fronte alla difficoltà di inserimento, restano represse.

Tutto ciò, nella versione di René Clément viene omesso. Un'ellissi elimina sia la condizione di partenza di Tom, che l'immediata confessione del piano orchestrato dal padre, per acquisire la fiducia del ricco rampollo.

 

Nonostante tale omissione, è impossibile trascurare la dinamica classista propria del rapporto tra Ripley e Dickie, quindi Clément sceglie di inserire una sequenza in cui Filippo, in vena di scherzi pesanti, relega Tom su una scialuppa attaccata al panfilo su cui si ambienta la storia, mentre fa sesso con Marge. Ma la scialuppa finisce per staccarsi dalla barca, quindi Filippo si vede costretto a recuperare l'amico in mare aperto, completamente ustionato, subendo le critiche della fidanzata.

Questo diviene l'innesco che farà detonare il piano di Ripley.

 

Viene minimizzata anche un'altra figura chiave, quella di Freddie Miles, seconda vittima del protagonista, che nelle versioni più recenti diviene persecutore e avversario di Tom, a cui ruba l'attenzione di Dickie e che sottolinea apertamente gli aspetti più inquietanti del suo rapporto con il ricco amico: nella versione di Clément il personaggio non compare mai prima dell'arrivo a Roma del protagonista.

 

Le sequenze fondamentali per comprendere la differenza tra le interpretazioni sono quattro: la scena in cui Tom prova gli abiti di Dickie/Filippo, il suo omicidio, l'assassinio di Freddie Miles e il finale.

 

Ripley, che non ha mezzi, viene invitato dallo stesso Filippo/Dickie a indossare i suoi abiti. Si tratta di una scena fondamentale, non solo per comprendere le dinamiche tra i due uomini di diversa estrazione sociale, ma anche perché diviene un'occasione in cui l'omosessualità di Tom viene palesata allo spettatore. In “Delitto in pieno sole”, vediamo Delon indossare abiti presi dall'armadio di Filippo e giocare, dimenarsi per terra, buttare le gambe all'aria rimirando le scarpe eleganti prese in prestito all'amico. Ma poi, unico momento in tutto il film dove le tendenze sessuali di Ripley sembrano venir sfiorate, si avvicina allo specchio e bacia la propria immagine riflessa. Sorpreso da Filippo, si giustifica dicendo che si trattava di un gioco e si ritira.

Molto più esplicita, soprattutto a seguito di precedenti sequenze, in cui le avances di Tom nei confronti di Dickie vengono rese in modo più esplicito e della subodorata influenza di Freddie Miles, in “Il Talento di Mr. Ripley” Matt Damon viene sorpreso mentre balla in modo equivoco di fronte allo specchio da Jude Law (Greanleaf), che reagisce in modo più violento rispetto al film di Clément, suscitando un senso di vergogna nel protagonista molto più infantile e violenta. Viene anche invitato a spogliarsi altrove, rendendo esplicita la repulsione sessuale che il ricco prova nei confronti dell'amico.

In “Ripley”, infine, la sequenza si rivela molto più contenuta nei toni, ma esplicativa: Andrew Scott indossa gli abiti di Dickie e inizia a personificarlo, imitandolo all'inizio,  per finire inscenando un dialogo con Marge in cui la accusa di star interferendo nel rapporto tra “lui e Tom”. Quando viene sorpreso da un più misurato amico (rispetto alle precedenti versioni), la reazione di Tom è più simile a quella di un ladro colto sul fatto. Questo porta i due ad un confronto tra i due in cui Dickie dichiara esplicitamente di non essere gay.

 

Già da questa sequenza ci rendiamo conto che, se Delon rappresenta un Ripley più freddo ed integrato ed un Filippo crudele ma misurato, Minghella sceglie di far interpretare a Damon un personaggio più ingenuo, più vulnerabile, più emotivamente dipendente dall'infatuazione nei confronti di Dickie, mentre Jude Law dà voce ad un ricco scavezzacollo iracondo, violento, volubile. Questo rende Ripley sia colpevole che vittima. Un truffatore dal cuore spezzato. Scott nella miniserie sembra dar vita ad un personaggio intermedio: certamente affascinato e legato a Dickie, non perde mai la lucidità per tentare di manipolare la realtà a proprio favore. Già si sente a proprio agio nei panni dell'amico.

 

Veniamo ora all'omicidio di Filippo/Dickie. In “Delitto in pieno sole” è interessante quanto il divo Delon prevalga sul personaggio in questa scena in cui, giocando a carte, Ripley riveli apertamente all'amico la volontà di prendersi tutto, di volersi appropriare della sua identità eliminandolo. Infatti poco dopo, accoltellerà Filippo, con chiara premeditazione. Più complesso sarà sbarazzarsi del corpo. Dopo averlo ancorato e legato con una lunga corda, Ripley viene sbalzato fuori dalla barca a causa di un colpo ricevuto dal fuso di vela. Riesce infine a tornare a bordo e a liberarsi del cadavere. In “Il talento di Mr. Ripley”, invece, i due amici fanno una gita con una barca a motore, a Sanremo: occasione in cui il Dickie di Jude Law riversa tutto il proprio disprezzo e fastidio nei confronti di Tom, che si lamenta di essere stato escluso da un viaggio a Cortina insieme a Freddie Miles. Matt Damon mette in scena una vera e propria dichiarazione d'amore alla quale l'interessato reagisce con violenza inaudita. Di fronte a tale reazione, Ripley perde il controllo e colpisce Greanleaf con un remo. Questi lo attacca a sua volta e tra le lacrime Tom lo finisce. Resta abbracciato al cadavere dell'amato, lo spoglia di anelli e averi e poi butta il corpo in mare. Infine, affonda la barca. Ripley sembra vittima della mancata accettazione altrui, e l'omicidio sembra quasi una legittima difesa rispetto alla violenza di Dickie.

Andrew Scott, in “Ripley” rimane invece impassibile all'annuncio di essere stato escluso dalla vita dell'amico: Zaillan ha già messo premesse, anche grazie al maggiore minutaggio, che conducono ad un'unica fredda soluzione da parte di Tom. Assassina Dickie con un colpo di remo, in assoluta lucidità. Prende possesso di anelli, occhiali, orologio, brucia una cima che gli impedisce di utilizzare l'ancora come peso per mandare a fondo il cadavere. Ma qualcosa va storto: viene sbalzato fuori dalla piccola barca a motore (rimando al film del 1959), subisce vari colpi in acqua, fino a risalire sul mezzo, liberandosi faticosamente del cadavere e infine tornando a riva per affondare, come Damon, la barca.

 

A questo punto della trama, in tutte e tre le trasposizioni, Tom Ripley si trasforma in Richard/Filippo Greanleaf, falsifica  documenti, imita la firma del defunto, si appropria del suo denaro, allontanando Marge e tutti coloro che potrebbero scoprirlo, alternando il ruolo del ricco amico al proprio. Prende casa a Roma, dove vive nel lusso sotto falso nome.

Minghella sceglie di inserire nuovi personaggi per complicare ancora di più la vicenda, come Meredith Logue (Cate Blanchett), ereditiera convinta che Tom sia invece Greanleaf, e Peter Smith-Kingsley, musicista gay attratto da Tom. Zaillan si limita a introdurre Reeves Minot (John Malkovich, già interpete di Tom nel film “Il gioco di Ripley” diretto da Liliana Cavani nel 2002), personaggio dei successivi romanzi della saga, falsario e mercante d'arte. Clément, invece, mantiene la mise en scène all'osso.

 

Arriviamo all'assassinio di Freddie Miles, amico di Dickie/Filippo, che rintraccia Tom nell'appartamento intestato all'amico ucciso a Roma. Le dinamiche dell'evento sono all'incirca le medesime per tutte tre le trasposizioni. Miles intuisce che qualcosa non va e si rende conto che Ripley si sta spacciando per Greanleaf.

Nel film di Clément, si tratta solamente di un imprevisto, prontamente risolto da Ripley/Delon con un colpo di statuetta in testa. È interessante notare come Delon sia talmente freddo da riuscire a cucinare e divorare un pollo intero, mentre il cadavere di Miles giace nel suo soggiorno.

Nella trasposizione di Minghella, l'apparizione di Miles si rivela non solo pericolosa per Tom, ma anche umiliante: qui viene di nuovo esasperato l'aspetto di inadeguatezza, inserito da Highsmith nel romanzo, per cui tutto ciò che Ripley ama e apprezza sembra di cattivo gusto, rispetto alle preferenze di Dickie. Philip Seymour-Hoffman rende il personaggio di Miles odioso, insostenibilmente borioso, superbo, fin troppo arguto nell'osservare le altrui debolezze, per poi rigettarle addosso al malcapitato con sdegno e una punta di malignità.

Osserva e commenta con orrore un busto romano, tanto amato da Ripley, che si rivelerà poi l'arma del delitto. Freddie Miles, nella visione di Zaillan, è interpretato da Eliot Sumner, figlia di Sting, che reca un tocco di eccentricità al personaggio. In tale versione Freddie ha già incontrato Ripley a New York, perciò presumiamo sia al corrente della sua omosessualità e del suo passato di piccolo truffatore. Comprende immediatamente l'inganno di Tom, tant'è che lo lascia per chiamare la polizia, firmando un quadro incompiuto di Dickie con il nome Picasso: riferendosi al quadro dell'autore spagnolo rubato da Tom, ma anche alla capacità di falsificare, di ingannare gli occhi meno attenti, facendo passare qualcosa per altro. Arma del delitto questa volta un posacenere, che resterà in vista per tutte le ultime puntate come un feticcio, un memento mori, che in qualsiasi momento di minaccia potrebbe essere nuovamente impugnato, o in cui ironicamente fumeranno il padre di Dickie e l'Ispettore Ravini, incaricato di indagare sul caso.

 

Sono questi i dettagli che rendono degna di nota la versione televisiva di “Ripley”: oltre 6 ore in cui ogni evento viene narrato con cura maniacale, in cui elementi apparentemente marginali prendono piede per rafforzare l'interpretazione magistrale di Andrew Scott. Il tutto in un bianco e nero che evoca il noir anni Quaranta e riempie le location italiane di un alone misterioso e tetro, e in cui tutte le interpretazioni misurate e contenute paiono quasi sul punto di esplodere.

 

Ma è il finale il punto in cui le tre opere prendono vie completamente differenti. In tutti i casi Tom riesce a far credere che Greenleaf si sia suicidato.

Alain Delon fa in modo che l'eredità di Filippo, ritenuto colpevole dell'omicidio di Miles, vada a Marge e quindi la seduce. Qui il divo francese sovrasta del tutto il personaggio: è irresistibile e, forse innamorato di Marie Laforêt, si illude di aver di fronte una vita di agi. Peccato che il padre di Dickie stia vendendo il panfilo su cui il delitto è stato consumato e, per uno scherzo del fato, incagliata nell'elica, viene ritrovata la cima che porta con sé il cadavere di Filippo, fino all'ultimo inseparabile dalla propria barca. Il film termina con un Delon che sorseggia il “miglior vino della casa”, mentre la polizia sta accorrendo per arrestarlo. Finale deludente secondo i più rispetto a quello del romanzo, in cui Ripley la fa franca. Ma adatto al seducente mascalzone Delon, che infine viene tratto in trappola proprio dai sentimenti o dalla propria vanità.

Minghella invece sceglie di discostarsi dal romanzo in modo differente: Marge, interpretata da Gwyneth Paltrow ritrova gli anelli di Dickie nell'appartamento di Tom e comprende la verità: da affabile amica diviene la più acerrima nemica del protagonista e fa di tutto per incolparlo della morte del fidanzato. Ma l'infatuazione di Peter, amico comune e la riluttanza dei Greenleaf a far trapelare notizie sulla natura violenta e libertina di Dickie, finiscono per smentirla, nonostante fino all'ultimo lei cerchi di far trapelare una verità priva di prove. In viaggio verso l'America, un Tom scosso dai rimorsi e dai fantasmi, vive momenti di felicità con Peter, ma l'apparizione di Meredith Longue, lo costringe ad assassinare anche il nuovo amante. In questa fase del film, oltre a costanti monologhi sull'esigenza di rivelare i propri luoghi oscuri, si reiterano immagini di Ripley allo specchio, sempre più sdoppiato o deformato. Non subisce la cattura, ma resta un uomo che sarà sempre tormentato dai propri fantasmi.

Questo vale anche per Zaillan, che conclude la vicenda con Tom ed una sospettosa (sin dal principio) Marge, cui presta il volto Elle Fanning, che si pacificano proprio a causa del ritrovamento dell'anello di Dickie da parte della donna. Ora Tom può scappare, con una nuova identità fornita da Minot e proprietario di un originale Picasso trafugato dalla casa di Dickie, nonostante la voce di Freddie continui ad inseguirlo.

Le ultime parole del romanzo descrivono un Ripley per sempre ossessionato dalla cattura, dal suono di sirene della polizia, pronta ad acciuffarlo ovunque vada.

 

Tre visioni completamente differenti tra loro: il divo, la vittima e il criminale. Tutti e tre costruiti da sceneggiatori, registi ed interpreti sullo stesso personaggio, ambientato nella stessa trama.

Di Alain Delon, Mereghetti scrive: “Il giovane Delon che subito dopo avrebbe girato “Rocco e i suoi fratelli”, è un Ripley ideale a sentire la stessa scrittrice: apatico, avido, vuoto, sembra figlio dell' ennui esistenzialista e del nascente consumismo”. Bellissimo, freddo, avido, con un fascino decadente che pare decretare la sua fine.

Matt Damon, dal canto suo, crea un sociopatico vittima delle proprie ambizioni. Tom è tante cose, è un mistero, è inafferrabile. Vorrebbe cancellarsi, ma nonostante la vergogna, la sofferenza e gli incubi che lo perseguitano, continua a cogliere ogni occasione di sopravvivenza per non essere davvero sé stesso. Anche a costo della propria felicità.

Infine, Andrew Scott, trova una via di mezzo tra le precedenti interpretazioni: crea un soggetto preda di impulsi sommersi, ma anche da pura cupidigia, non dotato di un aspetto incredibilmente piacente come Damon o Delon, preda di passioni, ma sempre lucido, padrone di sé. È il Ripley con cui trascorriamo più ore, quello di cui seguiamo le gesta passo dopo passo, quello che ci fa trasalire quando lascia tracce di sangue sulle scale di un androne, ma in cui nessuno potrebbe ammettere di identificarsi: il vero psicopatico senza scuse e senza remore. Forse quello che più rispetta il Ripley di carta, inventato da Patricia Highsmith.

 

Allo spettatore l'arduo compito di scegliere quale sia il Tom Ripley che più lo saprà trascinare nel proprio gioco perverso di specchi.

 

 

Andrea Brena

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