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GUIDA SACRILEGA PER AMANTI DI VAMPIRI-PARTE 1: FOCUS SUI CAPISALDI DEL GENERE



Il cinema in sé è un mezzo fatto di luce, il vampiro al contrario la rifugge, eppure quasi come un ossimoro, sono stati proprio i film a rendere iconica questa figura. Una creatura fatta di luce, che talvolta può riscoprire il sole solo grazie ai film. In “Intervista con il vampiro” (Neil Jordan, 1994), il protagonista Louis racconta l'avvento del cinema: “...una meravigliosa invenzione tecnica mi permise di vedere l'alba dopo duecento anni. Ah, quante albe... Viste come occhio umano non le ha mai viste. All'inizio erano d'argento, poi con il passare degli anni in tutti i toni del porpora e dell'arancio, quei colori che avevo tanto amato.”, mentre sullo schermo scorrono, tra le altre anche le immagini del “Nosferatu” diretto da Murnau nel 1922.

In vista dell'uscita del nuovo “Nosferatu” diretto da Robert Eggers, prevista per l'inizio del 2025, film che sta creando molte aspettative negli amanti del genere e degli estimatori del regista, può essere interessante analizzare come la figura del vampiro sia stata trattata nel cinema sin dagli albori del mezzo stesso.

La filmografia riguardante i “succhiasangue” è praticamente sterminata e sarebbe impossibile citare tutte le opere riguardanti il tema, ma ci sono pellicole particolarmente importanti, o originali, che hanno declinato lo stereotipo del vampiro nell'immaginario comune, o che lo hanno stravolto, analizzato, umanizzato, parodiato, collocato nelle situazioni più disparate.

La prima comparsa al cinema di un “proto-vampiro” risale al 1896, ad opera di Georges Méliès con il film “Le manoir du Diable”: non si tratta di un non-morto in senso stretto, ma di Mefistofele che appare sotto forma di pipistrello prima di tramutarsi in uomo e che nel finale viene sconfitto da un cavaliere che, mostrandogli una croce, lo fa dissolvere in fumo. Tutta la pellicola si sviluppa grazie ai trucchi di Méliès, soggetti che scompaiono e riappaiono, fumo, scheletri e fantasmi funzionali alla fantasmagoria messa in scena dal regista francese. In questo periodo, sia negli Stati Uniti che in tutta Europa vengono girati film inerenti all'argomento, molti dei quali perduti: sono gli anni in cui il libro “Dracula” scritto dall'irlandese Bram Stoker, pubblicato nel 1897, raggiunge il successo e riscrive lo stereotipo del vampiro letterario, consegnandolo in una nuova veste al cinema neonato.

Probabilmente il modo migliore per districarsi in questa filmografia immensa e complessa è proprio partire da quella che potremmo definire la storia capostipite del cinema di vampiri: probabilmente

“Dracula” è stata la storia più rappresentata, citata e parodiata dal cinema, fino a rendere il

protagonista un archetipo dell'immaginario collettivo in tutto il mondo, conosciuto anche da chi non ha mai letto o visto nulla di inerente al personaggio stokeriano.

Nel 1922 viene girato uno dei film capostipite del genere, ispirato alla novella di Stoker in quanto a trama, ma che tratteggia una figura vampiresca completamente differente dal gentiluomo descritto in “Dracula”: si tratta di “Nosferatu: una sinfonia dell'orrore” diretto dal maestro dell'espressionismo tedesco Friedreich W. Murnau.

La storia si ispira chiaramente al romanzo di Stoker (di cui il regista non ha ottenuto i diritti), ma Murnau declina l'immagine del Conte Orlok in senso strettamente espressionista: lo priva di ogni umanità, lo rende visivamente simile ad un cadavere vivente, contratto dal rigor mortis, privo di ogni umanità, pur collegandolo psicologicamente alle proprie vittime, anime vaganti che paiono attendere l'arrivo dell'orrore e della morte. Sceglie anche di dare spazio a paesaggi naturali, ma soprattutto mette in scena un mondo di ombre, di ambientazioni emotive, drammatiche, in cui il vampiro si trasforma in espressione del male assoluto, del disumano. Il mostro, come pestilenza, come morbo, come personificazione delle tenebre. Solo la luce può distruggere il male, alla fine del film. Tutto ciò rende “Nosferatu: una sinfonia dell'orrore” un capostipite del cinema espressionista tedesco. Il film riscosse un tale successo e l'interpretazione di Max Schrek del Conte Orlok fu talmente convincente, che iniziarono a circolare voci sul misterioso protagonista (il cui nome tradotto significa “massimo spavento”) secondo le quali si trattasse di un vero vampiro, assoldato da Murnau in nome della “vera arte cinematografica”.

Proprio di questa diceria tratta il film del 2000 “L'ombra del vampiro” diretto da E. Elias Merhige, in cui John Malkovich interpreta il regista tedesco e Whilem Defoe l'attore che presta il volto a Nosferatu. In questa pellicola, Murnau assolda un vero vampiro, limitando le riprese a orari notturni, sottolineando quanto le strane abitudini dell'attore siano legate al processo di identificazione con il ruolo del vampiro. In realtà, come un novello Faust, Malkovich fa un accordo con il mostro, promettendogli il sangue della protagonista Greta Schroeder. Ma la sete di Schrek sembra non poter essere placata. Un ritratto impietoso di Friedrich Murnau, ossessionato dalle proprie opere, invasato e dipendente dal laudano, che nonostante le scomparse sul set, prosegue nella creazione della proprio capolavoro, fino ad un finale che mischia finzione e realtà, in un tripudio di sangue che si conclude con la battuta del regista “Grazie, credo che questa sia buona”.

Indipendentemente dalla qualità del film in sé, resta interessante la ricostruzione delle scene

originali e la dialettica tra i due protagonisti, ciascuno votato alla propria “sete”.

Altro film che è fondamentale citare, benché non abbia legami con l'opera di Stoker, è “Vampyr” girato nel 1932 da Carl Theodor Dreyer (ispirato stavolta al racconto Carmilla di De Fanu). Qui il vampiro resta rappresentato come aberrazione dell'umano, non ha i connotati dell'uomo ma di una malvagia vecchia che corrompe vivi e morti con la sua nefasta sete di sangue. L'aspetto più interessante del film è la componente surrealista che Dreyer infonde all'ambiente contaminato dal vampiro. Siamo lontani dall'espressionismo di Murnau, qui le ombre non si stagliano nette sui fondali, ma si muovono svincolate dai corpi, il sogno e la percezione del protagonista si dipanano nella ricerca del Male, fino a mostrarcelo morto, in una bara, che osserva in soggettiva ciò che vede, in contre-plongée, mentre viene trasportato dai mostri. Anche l'umano si rivela malvagio, oltre al vampiro: incredibile la sequenza del medico complice della vecchia, che muore sommerso e soffocato dalla farina in un vecchio mulino, mentre la maledizione che perseguita il villaggio cessa di esistere insieme alla donna-vampiro, impalata nella propria tomba. Non è la trama ma l'onirismo a prendere le redini della storia, che percepiamo quasi fosse uno stato febbrile. Il vampiro è ancora male assoluto, un morbo che getta le vittime in una sorta di incubo senza scampo.

Nel 1979, Werner Herzog realizza un remake del film di Murnau: “Nosferatu, il principe della

notte”, con protagonista Klaus Kinski nei panni del Conte Orlok e Bruno Ganz e Isabelle Adjani in quelli dei coniugi Harker. Già dalle prime scene emerge il senso documentaristico per il naturalismo proprio di Herzog, che si distacca totalmente dalle atmosfere espressioniste dell'originale per trasformare il vampiro in una forma di vita innaturale ma realistica. Kinski infonde un alone di tristezza e insofferenza verso ciò che è al Conte Orlok, Meravigliosa la scena in cui il vampiro parla ad Harker dichiarando: “Il tempo è un abisso, profondo come lunghe e infinite notti. I secoli vengono e vanno, non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio. Ci sono cose molto più orribili della morte. Riesci a immaginarlo? Durare attraverso i secoli sperimentando ogni giorno le stesse futili cose.”. La trama resta la medesima, ma la figura vampiresca inizia ad acquisire un'anima, mostra il tormento della propria condizione, l'impossibilità di negarla, la sofferenza di una vita eterna fatta di orrore e immobilità. Il Male assoluto inizia a rendersi più umano, immerso nelle atmosfere naturali e lugubri in cui Herzog lo immerge, preda dei propri impulsi ma imprigionato dalla propria immortalità.

Proprio da qui il cinema inizierà a rivolgersi alla figura vampiresca con uno sguardo più profondo, che dall'horror puro, finirà nello sfociare nel dramma da un lato e nella comicità dall'altro.

Finora nessuno dei film nominati ha raccontato ufficialmente la storia del Conte Dracula, il vampiro per eccellenza, come narrato da Stoker.

La prima rappresentazione ufficiale del personaggio al cinema avviene con l'horror targato

Universal “Dracula”, diretto nel 1931 da Tod Browning. Siamo lontani, ancora, dalla finezza

psicologica infusa da Herzog al vampiro, ma con questo film si sancirono gli stilemi che ancora oggi rappresentano lo stereotipo del Conte: ciò avvenne grazie all'interpretazione dell'attore ungherese Bela Lugosi. Egli diede vita al Dracula vestito con tight e mantello, dai capelli impomatati, lo sguardo feroce e canini aguzzi che compaiono quando sta per bere dal collo delle sue vittime. Il cliché per eccellenza che ancora oggi tutti colleghiamo al personaggio creato da Bram Stoker. La messa in scena diventa hollywoodiana, il film codifica quelli che diventeranno i capisaldi del genere, non solo a livello registico, e la sceneggiatura contiene battute che resteranno iconiche nella storia e nelle trasposizioni del personaggio (si pensi a “Il sangue è la vita”).

Si dice che Lugosi rimase intrappolato nel personaggio di Dracula, al punto di dormire in una bara: ormai completamente associato al personaggio interpretato, insieme ad altri, come ad esempio Manila Nurmi, in arte Vampira, fu contattato dal regista Ed Wood, alla fine della sua vita, per interpretare un ghoul nel film “Plan 9 from Outer Space” del 1959 (in cui compare solo in scene di repertorio, a causa della prematura dipartita), la cui storia viene trasposta da Tim Burton in “Ed Wood”, del 994. In questa opera, viene chiaramente rappresentato quanto la figura cinematografica del vampiro, negli anni 50, diventi ingombrante per gli attori che dopo averli interpretati, rimasero intrappolati negli stilemi e canoni di genere.

Il film di Browning venne rigirato e distribuito con diversi attori che riproducono in lingue straniere la trama originale in tutto il mondo (alcuni vengono considerati persino migliori dell'originale, come ad esempio la versione messicana diretta da George Melford): è nato il mito di Dracula. Da gli anni 30 alla metà degli anni 60 furono girati un'infinità di film a tema vampiresco: per lo più B-movie, che cavalcarono l'onda del successo di “Dracula”, alcuni addirittura che non trattarono l'argomento, pur citandolo nel titolo (si veda ad esempio “I Vampiri” di Riccardo Freda, 1957, che narra di una banda criminale che agisce inscenando il modus operandi dei vampiri): a questo periodo risalgono anche incursioni nel genere dei nostrani Mario Bava (con “La maschera del demonio” del 1960 e “I tre volti della paura” del 1963) e Ubaldo Ragona con “L'ultimo uomo sulla terra”, girato nel 1964, ispirato al racconto di Richard Matheson “I'm Legend”, su cui torneremo in seguito.

Nel 1958, Dracula torna sul grande schermo, in una versione a colori più horror e con una patina apertamente B-Movie, grazie alla Hammer Production che realizza “Dracula il Vampiro”. Film diretto da Terence Fisher, questa nuova trasposizione rinnova l'icona del Conte transilvano, grazie all'interpretazione di Christopher Lee. Mantenendo invariato lo stile e l'aspetto improntato da Lugosi negli anni 30, Dracula diventa sensuale, non più solo mostro in cerca di vittime, ma ammaliatore. Il morso del vampiro inizia ad acquisire un senso più erotico, le figure femminili diventano man mano più arrendevoli e prive della connotazione virginale che caratterizzava i primi film di genere, il sangue grazie al Technicolor diventa evidente e pervasivo nell'immagine.

Il successo del film darà origine a 6 sequel, con Dracula protagonista e a diverse trasposizioni di storie vampiresche, ambientate sempre nel 1800, tra cui “Le spose di Dracula” (Fisher, 1960), e a numerose trasposizioni in chiave moderna, in cui sesso e violenza divennero sempre più pervasivi, fino alla produzione di serie televisive che si chiuse nel 1984, con la società praticamente in bancarotta.

Infine, nel 1992, Francis Ford Coppola riportò il Conte vampiro su grande schermo con “Dracula di Bram Stoker”. Questo film attinge a piene mani da tutto quanto sia stato girato in precedenza sul personaggio: riporta battute risalenti alla pellicola del 1931, ripropone la componente erotica del vampirismo sdoganata dalla Hammer, introduce la love story tra il vampiro e Mina Murray (assente nel libro) già messa in scena ne “Il demone nero” del 1974 diretto per la televisione da Dan Curtis, riprende la sofferenza del Nosferatu di Murnau, ma rivoluziona completamente lo stile del personaggio, ancorandosi con fedeltà alla figura ispiratrice di Bram Stoker, Vlad Tsepesh III, condottiero romeno, conosciuto come L'Impalatore per la sua ferocia. Gary Oldman regala un'interpretazione incredibile, in cui riunisce la mostruosità del vampiro ad un romanticismo decadente, sospeso tra passato e presente. I costumi disegnati da Eiko Ishioda sono materici, muscolari, serpenteschi, scivolosi e al contempo fedeli all'ambientazione.

Questo Dracula si trasforma per dolore, ha troppa umanità e sfida Dio per rabbia di fronte all'ingiustizia. Il vampiro è diventato un eroe romantico, un male creato dall'Onnipotente, un uomo spezzato che cerca nelle tenebre la propria vendetta.

La trasformazione da mostro a figura romantica, pericolosa e decadente è completa.

Sulla figura di Dracula sono stati prodotti ancora numerosi film: “Dracula 3D” (Dario Argento,

2012) nel suo aspetto più horror, “Dracula Untold” (Gary Shore, 2014) in cui si romanza la vita di Vlad e come sia diventato un mostro, “Demeter – Il risveglio di Dracula” (André Øvredal, 2023) che narra il viaggio della nave che condusse il vampiro dai Carpazi a Londra, per citarne alcuni. Numerose anche le “comparsate” in altri film o serie televisive, alcune dedicate proprio al Principe delle tenebre.

Il cinema ha sviluppato e canonicizzato la figura del vampiro, nel corso della propria storia lo ha rappresentato secondo le proprie correnti artistiche e richieste commerciali, consegnandoci un archetipo pronto ad essere declinato nei modi più disparati, distaccandosi dalla novella e lasciando spazio ad una visione più moderna, a volte trash, pornografica, comica, altre profondamente drammatica del mostruoso inteso non solo come maligno, ma in modo più umano e sfaccettato.

Da questo ritratto tratteggiato dai classici di genere, possiamo approdare a quello che il vampiro cinematografico si è trasformato nella contemporaneità. E possiamo accorgerci di quanto, lentamente, diventi sempre più simile a noi.


Andrea Brena

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