Thunderbolts* - Jack Shreider
- Stefano Berta
- 5 mag
- Tempo di lettura: 3 min

La Marvel, appena due mesi dopo dall'uscita di "Captain America Brave New World", ritorna in sala con "Thunderbolts*", ovvero il secondo dei tre appuntamenti targati MCU che ci terranno compagnia al cinema nel corso di questo 2025.
La critica, già dalle anteprime stampa, ha espresso il proprio apprezzamento quasi all'unanimità nei confronti del progetto, parlando del film come di un simbolo che segna il ritorno in grande spolvero di una Marvel che, da dopo Endgame, non era più riuscita a fare breccia incontrando il favore incontrastato ed entusiasta di pubblico e addetti ai lavori; ma c'è davvero motivo di mostrarsi così entusiasti?
Il film diretto da Jack Schreier è un prodotto di intrattenimento estremamente dignitoso; sarà per via delle basse aspettative, sarà per via degli ultimi deludenti titoli, ma l'ultima fatica della casa delle idee colpisce proprio per via della trasparenza, della semplicità e del senso della misura di cui decide di farsi carico, presentandosi come un titolo in grado di fondere perfettamente intrattenimento, qualità ed introspezione.
"Thunderbolts*" ha il sapore di quei film che caratterizzarono ai tempi le parentesi più gradevoli e decorose delle prime fasi e concentra la stragrande maggioranza dei propri pregi nel gruppo di personaggi che porta in scena: antierori, perlopiù, rifiuti della società, segnati da un passato tumultuoso e in cerca di riscatto all'interno di un mondo che pare averli quasi del tutto dimenticati e messi ai margini e che sebbene non godano tutti dello stesso grado di approfondimento (Ghost, Bucky e US Agent sono ancora lì a gridare vendetta) risultano ben amalgamati tra di loro innescando delle sequenze action e dialettiche efficaci e coinvolgenti.
La forza del gruppo e le implicazioni etico-morali che muovono le loro azioni sono senza alcun dubbio il principale punto di forza del progetto e al netto di qualche problematica, narrativa e non, vengono utilizzati assieme al personaggio di Sentry, vero e proprio perno emotivo del lungometraggio, per riflettere, ovviamente in modo contestualizzato al tipo di prodotto e al target di riferimento al quale si rivolge, su tematiche come la depressione, la salute mentale e i propri demoni interiori (credo sia la prima volta in assoluto che si parli di dipendenza da alcol e da droghe in un film MCU in maniera così esplicita).
Non è un caso infatti che Sentry, il personaggio interpretato dall'ottimo Lewis Powell, impersonifichi a conti fatti due lati della stessa medaglia, cimentandosi in un duplice ruolo che divide in modo netto e manicheo la propria personalità più debole ed introversa da quella cinica e colma di risentimento che porterà il gruppo dei Thunderbolts ad entrare in azione, all'interno di un rapporto conflittuale che culminerà in una sequenza finale (e) corale dal forte impatto metaforico ed emotivo; forse la sequenza migliore di tutto il film.
Per il resto, l'ultimo titolo che chiude la fase 5 in attesa dei due Avengers che segneranno il punto di arrivo di questa saga del multiverso, offre dell'intrattenimento popolare degno di nota, riportando sul grande schermo una Marvel capace di equilibrare gli intenti commerciali e produttivi e quelli più artistici, nonostante diluisca il tutto all'interno di un collante narrativo pretestuoso che non fa percepire in maniera adeguatamente omogenea la divisione del film in tre atti; la parte centrale arriva a seguito di un introduzione fin troppo lunga e che in molti potrebbero percepire addirittura come"lenta", e quando sembra che sia arrivato il momento giusto per indirizzare la narrazione verso l'ultimo tassello del mosaico, ecco che il tutto si conclude, lasciando quella sensazione di non detto controbilanciata però da un colpo di scena finale che ritorna a mettere in discussione e in forte rilievo le implicazioni che muovono la macrotrama nel suo insieme.
Per concludere, "Thunderbolts*" si potrebbe definire come un cocktail che mescola al proprio interno interessanti intuizioni a grandi occasioni mancate, ma che nonostante tutto riesce, e in certi momenti lo fa anche benissimo, a rendersi un drink dissetante in grado di rendere la serata piacevole, senza provocare quella sensazione inebriante data da altri titoli di maggior richiamo, ma permettendoci di alzarci il giorno dopo senza il mal di testa procurato da una scadente, desolante ed estenuante sbronza.
Stefano Berta
Comments