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MUTINY IN HEAVEN: THE BIRTHDAY PARTY. NICK CAVE – LA PRIMA FILA NON É PER FRAGILI – IAN WHITE



Il sottotitolo a questo documentario sul gruppo post-punk The Birthday Party, diretto da Ian White e prodotto da Wim Wenders nel 2024, si riferisce ad una frase di Nick Cave, frontman della band, che suggerisce a coloro che non vogliono rischiare di essere malmenati, insultati e presi di mira di stare lontano dal palco. Infatti i loro concerti erano noti per essere particolarmente violenti e agitati, non solo per il comportamento di Cave sul palco anche per l'aggressività del loro sound. Citando qualche aneddoto, oltre a ritrovarsi sul palco con i pantaloni rotti e senza biancheria intima, Nick ha avvolto il cavo del microfono al collo di una ragazza (che ha ricambiato picchiando il cantante), oppure ha preso a testate la batteria fino a iniziare a sanguinare. In occasione di uno show a New York, l'esibizione fu interrotta a soli 20 minuti dall'inizio, tra le proteste del pubblico che tirava oggetti sul palco, mentre il gruppo chiedeva di “lanciare della droga”. Cosa che effettivamente avvenne. Sostanze sconosciute che il gruppo testò, lasciando i membri privi di coscienza per tre giorni. 


Risulta quindi piuttosto chiaro, quanto sia difficile reperire materiale video (ancor di più se di buona qualità) dei concerti dei Birthday Party. 

Il regista Ian White decide di sopperire a questa mancanza di materiale mischiando filmati low-fi, interviste a Nick Cave, Mick Harvey e Phill Calvert (rispettivamente, cantante, chitarrista/bassista/batterista, e primo batterista della band) unici membri del gruppo ancora in vita, ad altro materiale d'archivio tra cui interviste al chitarrista Rowland Howard, foto, scalette, lettere, testi scritti a mano e locandine dell'epoca e sequenze di animazione che mettono in scena alcuni degli aneddoti più assurdi ed esilaranti raccontati dai diretti interessati. 

Scelte tecniche come la sovrimpressione, lo split screen, il montaggio sincopato, non solo per rendere visivamente coesa tale mescolanza di materiale, spesso di scarsa qualità video, ma anche per tradurre sullo schermo la rabbia e la follia che hanno caratterizzato il percorso umano e artistico della band. 


Il documentario ripercorre l'intera storia del gruppo, dagli esordi nel 1976, allo scioglimento: benché i toni siano scanzonati, da un lato, la narrazione tende a scavare in profondità nel disagio che i membri dei Birthday Party hanno vissuto durante la loro breve carriera, la perenne sensazione di essere ai margini di una società e di un'industria musicale in cui stentavano a trovare una collocazione, lo stile di vita estremo sostenuto fino all'implosione della band stessa.  

Il risultato è un film affascinante, profondo e divertente sull'urgenza di comunicare non solo la rabbia e l'alienazione, ma un mondo interiore contraddittorio, in cui coesistevano follia ed eccessi, ma anche un profondo legame con l'arte e la cultura classica. Emblematica, in questo senso l'immagine ricordata da Cave e Harvey del bassista Tracy Pew, in canotta di rete e cappello da cowboy, pronto per andare in scena con un cetriolo infilato sul davanti dei pantaloni di pelle e una copia della Repubblica di Platone nella tasca posteriore. 


Se potessimo definire “trama” il racconto dei membri dei Birthday Party, avrebbe probabilmente l'assetto di un road movie: dopo gli esordi in Australia e la formazione del nucleo storico del gruppo, con Cave fortemente influenzato sia dal punk che da Johnny Cash (il primo ad aver composto una musica “scomoda e malvagia”) e Rowland che bilancia musicalmente il collega con la sua chitarra (dotato di una sorta di approccio cantautoriale allo strumento e dotato di un'anima fragile), a cui si uniscono lo scapestrato Pew (condannato poi per furto), il più posato Harvey e Calvert, la band si trasferisce a Londra in cerca di successo nella culla del punk. Ma il tempismo del loro arrivo nel 1978 non è fortunato: il punk è un movimento ormai concluso e commercializzato, si sta facendo spazio la new wave e la musica elettronica, quindi i Birthday Party non trovano collocazione nell'industria discografica inglese. I ragazzi, tutti poco più che ventenni, soffrono letteralmente la fame, sopravvivono in minuscoli monolocali o stazionano a casa di amici: proprio

in questo periodo il problema della dipendenza da eroina diviene ancora più pressante, alternando giorni in cui i membri del gruppo si ritrovano strafatti, a crisi di astinenza dovute all'impossibilità di procurarsi la droga. Una sorta di fuga da una vita da emarginati, in una città che sembra non volerli. A ciò si aggiunge la morte del padre del cantante, che impatta sulla vita di Cave in modo violentissimo, accentuando ancora di più la sua urgenza di esprimere la propria rabbia, i propri recessi più oscuri.  


Ma la vacuità della scena musicale londinese fa superare loro i complessi d'inferiorità e li spinge a trovare un'abitazione (necessaria ad essere contattati per lavorare, seppur nell'impossibilità economica di sostentarsi). Finalmente vengono notati da John Peele, conduttore radiofonico britannico, che inizia a far girare per radio i loro pezzi. “The Friend Catcher”, singolo estratto dal loro secondo disco in studio, porta i Birthday Party al terzo posto della chart NME nel 1981.  

Il gruppo torna in Australia per girare il video di “Nick the stripper” in una sorta di inferno ricreato in una discarica incendiata: ispirati dai quadri di Hyeroninum Bosch, sfruttando pazienti di un istituto psichiatrico come comparse, insieme a teste di maiale, danno origine ad una pericolosa e violenta rappresentazione luciferina di sé stessi. In questo periodo, in cui riescono a conquistare un pubblico anche a Londra, raggiungono una maturità artistica cantautoriale e performativa. Descrivono questo momento, culmine durante cui i concerti divengono più controversi e violenti, come “rapide occhiate in un'altra dimensione” che garantivano loro la sensazione di poter fare tutto ciò che volevano. Nello stesso tempo, i membri sono sempre più alienati dal mondo.  


White racconta tramite semplici cartoni animati in bianco e nero queste fasi di scollamento dalla realtà, in cui bravate e gesti folli si fondono con una sensazione di disagio interiore che fagocita sempre più i membri della band. Quasi non ci fosse alcuna differenza tra lo show e la vita. Il risultato è esilarante e dissonante, un paradosso visivo ed emotivo per lo spettatore del film. 


Dopo un tour conclusosi in Germania, i Birthday Party decidono di trasferirsi a Berlino, dopo aver allontanato dal gruppo il batterista Calvert (“capro espiatorio” di ogni problema della band). Nel 1982 vede la luce l'album “The Bad Seeds”: emerge un lato più malinconico, che prende le distanze dalla precedente produzione di musica utilizzata come “valvola per esprimere la rabbia”.  

I ragazzi sono infelici e annoiati, situazione patita da Rowland ma ideale per la produttività di Cave. La loro musica si trasforma sempre più in una forma di emancipazione da un conformismo terribile. Nick inizia ad esibirsi durante i live voltando le spalle alla platea, evitando la rissa: odia ciò in cui il pubblico si è trasformato, individui alla semplice ricerca di violenza gratuita, di trasgressione.  

Rowland e Cave hanno sempre più difficoltà a scrivere insieme, dipendenti da eroina e altre droghe, e sempre più isolati all'interno del gruppo. Nonostante il successo, continuano a vivere alla giornata, ospiti in case altrui, senza denaro ed esausti. 

Il colpo di grazia è l'ultimo tour in Australia, annientante: non è più possibile continuare così, quindi la band si scioglie definitivamente. Implode, vittima non solo di uno stile di vita ma del rifiuto a conformarsi ai dettami sociali dell'epoca. Siamo nel 1983, esce l'ultimo EP “Mutiny”, la cui ultima traccia, che dà il titolo al film, pare predire questo “ammutinamento in Paradiso”, il peso insopportabile di un'esistenza da alienati. 


Non si tratta di un road movie idilliaco, ma di una sorta di costante fuga dal reale, dal conformismo, dalle regole sociali: musicalmente e visivamente violenta in un senso quasi nostalgico e badlandsiano1, privo dell'alone bohémien che spesso riveste le figure di alienati e poeti maledetti. Un viaggio che poteva solo essere breve, intenso, folle e finire solo con un'esplosione. Ed è a questo punto che Ian White decide di terminare il suo racconto. Una performance che termina portandosi via un capitolo di vita. 


1 “Badlands”, diretto da Terrence Malcik, 1973



Andrea Brena 


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