Il Signore degli Anelli-La guerra dei Rohirrim - Kenji Kamiyama
- Fabio Catalano
- 3 gen
- Tempo di lettura: 2 min

Le gesta dei Rohirrim sono scolpite nella memoria di ogni appassionato de Il Signore degli Anelli. Quei valorosi soldati di Rohan, protagonisti di una delle battaglie più iconiche della storia del cinema, che hanno affrontato e sconfitto le forze di Isengard in un confronto epico che rappresenta un modello insuperato per chiunque voglia dirigere una scena di battaglia. Tuttavia, l’ambizione di questa nuova opera è diversa: raccontare una storia dimenticata, mai tramandata attraverso le generazioni, legata alla nascita del mito, del leggendario Fosso di Helm.
Il risultato, però, è un film che alterna alti e bassi, lasciando trasparire un potenziale inespresso. La narrazione è fragile e non riesce a reggere il confronto con le pellicole precedenti. Un senso di monotonia emotiva pervade l’intero racconto, incapace di decollare nei momenti cruciali della trama. Anche i personaggi, pur dotati di un certo fascino, mancano di profondità e spessore, rimanendo poco più che figure abbozzate. Le loro motivazioni risultano opache, lasciando lo spettatore con la sensazione di un’occasione mancata.
La protagonista, Hera, si distingue per il suo coraggio e la sua caparbietà, emergendo come un’eroina in grado di compiere imprese straordinarie laddove gli uomini della sua stirpe avevano fallito. Il suo ruolo, però, sembra più funzionale a costruire un ponte verso il futuro, anticipando i tratti distintivi di personaggi come Éowyn, la fiera signora dei cavalli, e Théoden, che condurrà nuovamente i Rohirrim in battaglia. Hera getta le basi per la loro eredità, ma la sua figura non riesce a imporsi pienamente come protagonista autonoma e memorabile.
L’opera, diretta da Kenji Kamiyama – un veterano dell’animazione giapponese noto per lavori come Jin-Roh – Uomini e lupi e il suo contributo a Akira e Kiki – Consegne a domicilio – tenta di fondere l’epica occidentale con l’estetica orientale. Tuttavia, il potenziale dell’animazione, che avrebbe potuto esaltare la magnificenza del mondo di Tolkien, risulta inespresso. Il film sembra piegarsi al servizio di una moda, anziché brillare di luce propria.
Non mancano sequenze visivamente suggestive, ma l’animazione nel complesso appare poco fluida e non sempre curata, lontana dall’eccellenza che ci si aspetterebbe da un progetto così ambizioso. Il risultato è un’opera derivativa e citazionista, che non riesce a emanciparsi dal confronto con la trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli. Manca quella capacità di stupire e incantare lo spettatore, e i momenti in cui avrebbe dovuto premere sull’acceleratore si riducono a un compitino sufficiente, ben distante dalla maestosità che avrebbe potuto (e dovuto) raggiungere.
In definitiva, un esperimento interessante ma non del tutto riuscito, che lascia più ombre che luci nel panorama emergente dell’animazione ispirata a Tolkien.
Fabio Catalano
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